Il sesso è vecchio di 385 milioni di anni e somigliava a un ballo della mattonella.

Il primo sesso sulla Terra sembrava alla danza della mattonella, se i pesci sapessero ballare, naturalmente.
Questa è la conclusione di un nuovo studio svolto su fossili di 385 milioni di anni fa che rivelano che il più antico pesce dentato sulla Terra è stato anche il primo a riprodursi attraverso la copulazione. I primi pesci avrebbero poi ripristinato la deposizione delle uova – rilasciando uova e sperma in acqua – ma alcuni hanno dato nuovamente origine alla capacità di avere rapporti sessuali accoppiandosi.
Il più antico atto sessuale è avvenuto quando due piccoli pesci chiamati Microbrachius hannno agganciato i propri arti snodabili lateralmente e congiunto l’ossuta appendice prensile del maschio con l’ossuta placca genitale della femmina  per trasferire lo sperma dal maschio alla femmina. [Vedi immagini di questi antichi pesci]
“Con i fossili, spesso riusciamo appena ad  ottenere un assaggio di ciò che gli antichi animali sembravano, ma raramente otteniamo un’idea del loro comportamento“, ha detto il ricercatore John Long, paleontologo alla Flinders University in Australia. “Il primo atto di copulazione era un po bizzarro, ma comunque un bel atto.
L’origine del sesso
Anche se non sono molto sexy, i pesci sono gli inventori del sesso. Long e i suoi colleghi avevano precedentemente trovato prove di copula interna in Placodermi, un gruppo di pesci corazzati preistorici. Nel 2008, i ricercatori hanno segnalato la scoperta sorprendente del più antico embrione fossilizzato trovato all’interno di un  pesce Placoderma vecchio di 380 milioni di anni.
Questi organi sessuali maschili e femminili recentemente scoperti in Microbrachius risangono a 385 milioni di anni fa. Ma il sesso potrebbe essere molto più antico, dice il dott. Long. Microbrachius faceva parte di un gruppo di Placodermi chiamati antiarchi; questi erano la più antica linea dei Placodermi, e i primi pesci a sviluppare mascelle. Gli antiarchi si sono evoluti nel Periodo Siluriano antico, circa 430 milioni di anni fa.
Sapevamo che alcuni di questi gruppi di Placodermi più evoluti avevano già inventato la copula, per così dire, e avrebbero potuto dare alla luce piccoli vivi“, ha detto Long. Ora, è chiaro che il sesso risale al più primitivo dei vertebrati dotati di mascelle, ha aggiunto.
Fornicazione marina
In un primo momento, mentre Long stava facendo ricerche in Estonia, sospettava che Microbrachius avrebbe potuto essere uno scherzo. Lì, presso la Tallinn University of Technology, ha scoperto uno strano fossile: una piastra corazzata che appartiene ad un Placoderma degli antiarchi con uno “strano tubo osseo” collegato ad esso.
Sospettava che potesse essere un’appendice prensile genitale, un organo riproduttivo maschile che aiuta i pesci a rimanere attaccati mentre sono affaccendati. Ma un osso non è una prova sufficientemente convincente.
Abbiamo cercato in lungo e in largo“, ha detto Long, trovando alla fine degli esemplari completi di Microbrachius in alcune collezioni museali in Scozia. I fossili, provengono da antichi letti di laghi d’acqua dolce della regione. Ogni pesce era lungo circa 3 pollici (7,6 centimetri). Quasi sicuramente, i maschi sfoggiavano appendici genitali a forma di L. Le femmine avevano placche genitali dove le appendici maschili potevano introdursi.
Per la prima volta, abbiamo potuto identificare un dimorfismo sessuale in questo antico gruppo“, ha detto Long.
Un tempo si pensava che i Placodermi fossero vicoli ciechi evolutivi, dice il dott. Long, ma negli ultimi anni degli studi hanno fornito la prova che erano gli sviluppatori originari della struttura corporea dei vertebrati. Sono stati i primi animali a sviluppare mascelle, denti, arti posteriori abbinati e le orecchie, anche interne, con tre canali semicircolari – una struttura anatomica che somiglia proprio a quello che gli esseri umani hanno nella loro testa oggi. Queste scoperte suggeriscono che i Placodermi erano gli antenati dei moderni pesci ossei.
Solo alcuni pesci ossei si riproducono con la copulazione oggi; sembrano aver perso questa capacità come gruppo, solo per ritrovarla in alcune linee in seguito.
I genitali di Microbrachius erano troppo strani e grandi per l’accoppiamento del missionario, come succede per alcuni squali che copulano oggi. Long e i suoi colleghi sospettano che l’antico pesce facesse uso di un’altra stranezza anatomica: i suoi arti anteriori articolati, che erano più simili a braccia che a pinne. Agganciando queste pinne insieme, il pesci potrebbero aver nuotato uno accanto all’altro in modo da manovrare i genitali nel luogo di destinazione.
Ho detto che svolgevano l’atto di accoppiamento lateralmente, come nella danza della mattonella, con le loro piccole braccia agganciate,” ha detto Long.
I ricercatori hanno riferito i loro risultati sul numero del 19 ottobre 2014 della rivista Nature.

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L’ammasso vivente più grande mai esistito

La Locusta delle Montagne Rocciose (Melanoplus spretus) è stata una razza di locuste che  colonizzava quasi l’intera metà occidentale degli Stati Uniti e alcune parti occidentali del Canada fino a metà del 19° secolo.
Gli avvistamenti di questo insetto parlano di sciami così grandi che il numero di individui che li componevano era notevolmente più alto di quello degli sciami di altre specie di locuste. Un avvistamento famoso parla di uno sciame grande circa 513.000 chilometri quadrati, più grande dell’intera California, si stima pesasse 27.500.000 di tonnellate ed era composto da aprossimativamente 12,5 trilioni di esemplari. La più grande concentrazione di animali mai vista prima.
Meno di 30 anni dopo questo evento la locusta in questione pare completamente scomparsa con un ultimo avvistamento avvenuto nel 1902 nel sud del Canada. E poichè nessuno pensava che un animale capace di raggiungere tali concentrazioni potesse estinguersi sono stati raccolti molto pochi campioni (alcuni esemplarti sono stati trovati conservati nel ghiaccio del Gasshopper Glacier nel Montana).
Nonostante le cavallette provochino danni ingenti alle colture ancora oggi, non raggiungeranno mai il potenziale distruttivo delle locuste. Se questa locusta fosse sopravvisuta fino ai giorni nostri l’agricoltura degli Stati Uniti e del Canada avrebbe dovuto adattarsi ad essa. Il Nord America, insieme con l’Antartide sono, infatti, i soli continenti che non hanno una propria specie di locuste con la quale fare i conti.
Gli ultimi sciami della Locusta delle Montagne Rocciose sono stati avvistati tra il 1873 e il 1877, anni nei quali queste terribili locuste hanno provocato danni per 200.000.000 di dollari in Colorado, Kansas, Minnesota, Missouri, Nebraska, e altri stati. 
Le cause della sua estinzione non sono chiare ma potrebbe essere stata provocata dall’agricoltura intensiva e dalle irrigazioni che hanno modificato sensibilmente il ritmo di vita naturale degli insetti. I rapporti risalenti all’epoca dell’estinzione riportano che i coltivatori distruggevano circa 150 uova di questo animale ogni pollice quadrato (circa 3 centimetri quadrati) di territorio arato o irrigato.
Poichè la locusta è una variante delle cavallette che compare quando il numero di queste ultime raggiunge una certa densità, si è teorizzato che la Locusta delle Montagne Rocciose in realtà non sia affatto estinta ma che semplicemente non si siano ancora verificate le condizioni giuste perchè le cavallette delle Montagne Rocciose si trasformino nella temuta locusta.
Sono stati fatti numerosi esperimenti con gruppi molti grandi di cavallette per vedere se il fenomeno della comparsa delle locuste si verificava ma con risultati nulli.
Il confronto del DNA mitocondriale di esemplari conservati nei musei con specie affini di cavallette ha portato a ritenere la Locusta delle Montagne rocciose una specie distinta ed ora estinta, probabilmente imparentata con la cavalletta Melanopus bruneri.

In un antico scheletro sono state trovate le prove della presenza di un cancro

I ricercatori hanno scoperto il primo caso confermato di cancro in un giovane uomo che ha vissuto nell’Antico Egitto. La scoperta di uno scheletro malato risalente intorno al 1200 aC, è stata effettuata presso il sito di Amara nell’nord-ovest nel Sudan.

La nuova scoperta suggerisce che questa malattia ha le sue radici in un lontano passato. I dettagli dello scheletro sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE. Lo scheletro è stato scoperto da Michaela Binder, una dottoranda presso l’Università di Durham che ha detto che il ritrovamento è di “importanza fondamentale per conoscere le cause del cancro nelle popolazioni antiche, prima della comparsa dei moderni stili di vita“.

Il cancro viene considerato una malattia moderna, causato dal fumo, da stili di vita insalubri e dallo stress della vita di ogni giorno. La scoperta della Binder suggerisce che la malattia era presente già migliaia di anni fa.
Sono rimasta sorpresa di vedere un cancro in un individuo vissuto in tempi così antichi“, ha detto la Binder a BBC News.

Noi non sappiamo ancora molto sul cancro. Sono stati trovati solo pochi esempi di questa malattia nel lontano passato. Il ritrovamento della Binder è di particolare interesse perché è di 2.000 anni più antico del ritrovamento confermato precedente.

 
Malattia in evoluzione

Quando ha portato alla luce lo scheletro la Binder  ha scoperto che le ossa erano crivellate di buchi.
Ha lavorato con Daniel Antoine, curatore del British Museum, che è responsabile per i resti umani del museo. E’ stato molto eccitante lavorare con uno scheletro così ben conservato“, ha detto a BBC News il dott. Antoine. I segni sulle ossa erano molto chiari e la nostra analisi ha dimostrato che vi erano serie prove che il giovane soffrisse di un qualche tipo di cancro.

La scoperta sarà di grande interesse per i ricercatori medici, secondo il dottor Kat Arney del Cancer Research in Inghilterra.
Se potremo analizzare il DNA dello scheletro, potrebbe raccontarci qualcosa sulle mutazioni genetiche che hanno reso [questa persona] sensibile a questo tipo di cancro. Ciò potrebbe far luce sull’evoluzione della malattia, insieme con l’evoluzione del genere umano.

Ci sono stati alcuni accenni precedenti alla malattia nella documentazione archeologica.
L’anno scorso, un ricercatore statunitense ha pubblicato i dettagli dell’analisi di una costola di Neanderthal fossile risalente a 120.000 anni fa che ha mostrato indicazioni di un tumore osseo.

Ci sono stati altri ritrovamenti, di circa 4.000 anni fa, che mostrano alcuni segni simili. Ma senza uno scheletro completo per mostrare la diffusione della malattia, è difficile confermare che questi esemplari avessero veramente il cancro.

Il genoma rivela come si sono evoluti i gatti per sopportare gli umani.

Migliaia di anni fa, un gatto selvatico ha fatto il primo passo soffermandosi ai confini di un villaggio umano, forse per mangiare i topi che vivevano nei granai della gente. Ora, miliardi di animali domestici e innumerevoli video di gatti più tardi, i ricercatori hanno messo in luce le radici genetiche della speciale relazione tra umani e gatti.

Un nuovo studio ripercorre i cambiamenti genetici che portano i gatti a raggomitolarsi sulle nostre ginocchia e a pretendere le coccole degli esseri umani e a fare le fusa per ringraziare. Molti dei cambiamenti hanno modificato la motivazione del gatto per cercare ricompense ed hanno diminuito la loro paura di fronte a nuove situazioni, ha detto il co-autore della ricerca Wesley Warren, genetista presso il Genome Institute, presso la Scuola di Medicina dell’Università di Washington a St. Louis.

I gatti e gli esseri umani si conoscono da sempre: alcuni studi suggeriscono che i gatti sono stati addomesticati circa 9.000 anni fa nel Vicino Oriente, mentre altri fanno risalire l’addomesticamento felino alla Cina di circa 5.000 anni fa. Per svelare i misteri dell’addomesticazione del gatto, gli scienziati hanno sequenziato il genoma di un gatto abissino chiamato Cannella nel 2007. Ma l’analisi non era completa.

Warren e i suoi colleghi hanno fatto una seconda sequenza del genoma di Cannella, confrontandolo con i genomi di diversi altri gatti domestici e di due specie di gatto selvatico, e poi li hanno confrontati con i genomi della tigre, del cane e di molti altri animali.

Nei gatti domestici, i geni legati alla motivazione e alla paura hanno affrontato una forte pressione evolutiva nel corso della storia, portando i gatti ad essere meno timidi e più motivati dalle ricompense.

I cani hanno molte più copie di geni per i recettori olfattivi rispetto ai gatti, il che spiega  probabilmente la superiorità del senso dell’olfatto nei cani. D’altra parte, i geni per la visione notturna e per l’acutezza uditiva nei felini sono stati sotto forte pressione selettiva – il che può spiegare perché i felini sono  cacciatori così esperti, ha precisato Warren.

I risultati contribuiranno a sostenere alcuni dei cambiamenti biologici associati alla domesticazione nei gatti.

Lo studio è vasto, soprattutto quando si tratterà di definire i cambiamenti nel genoma che hanno portato all’addomesticamento, o più correttamente, all’adeguamento degli antenati dei gatti domestici, che ha permesso loro di consorziarsi con gli esseri umani, e quindi ottenere sia la protezione dai predatori che un ampia provvista alimentare (roditori).” Ha concluso Niels Pedersen, ricercatore veterinaria presso l’Università della California a Davisy, in una e-mail.

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Perchè gli esseri umani bevono alcool? Evoluzione e l’abitudine di mangiare frutti troppo maturi.

Gli antenati degli esseri umani potrebbero aver iniziato a evolvere l’attitudine per il consumo di alcool circa 10 milioni di anni fa, molto prima che gli esseri umani moderni cominciassero a produrre birra.
La capacità di scomporre l’alcool probabilmente ha aiutato gli antenati dei moderni umani a digerire i frutti marci o fermentati che cadevano sul suolo della foresta, hanno detto i ricercatori. Pertanto, sapere quando questa capacità si è sviluppata potrebbe aiutare i ricercatori a capire quando questi nostri antenati hanno cominciato a muoversi e a vivere per la maggior parte del tempo sul suolo, invece che sugli alberi.
Un sacco di aspetti della condizione umana moderna – tutto dal mal di schiena all’ingerire troppo sale, zucchero e grassi – risale alla nostra storia evolutiva,” ha detto l’autore principale dello studio Matthew Carrigan, un paleogenetista al Santa Fe College di Gainesville, Florida . “Abbiamo voluto capire di più sulla condizione umana moderna per quanto riguarda l’etanolo [alcool].
Per ottenere ulteriori informazioni su come gli antenati degli uomini hanno evoluto la capacità di scomporre l’alcool, gli scienziati si sono concentrati sui geni che codificano per un gruppo di enzimi digestivi chiamato famiglia ADH4. Gli enzimi ADH4 si trovano nello stomaco, gola e lingua dei primati, e sono i primi enzimi che metabolizzano l’alcool per intercettazione dell’etanolo dopo che è stato assorbito.
I ricercatori hanno esaminato i geni ADH4 provenienti da 28 diversi mammiferi, per indagare su quanto strettamente connessi fossero e scoprire quando i loro antenati divergevano. In totale, hanno esplorato quasi 70 milioni di anni di evoluzione dei primati. Gli scienziati hanno poi usato questa conoscenza per studiare come i geni ADH4 si sono evoluti nel tempo e a cosa potessero somigliare i geni ADH4 dei loro antenati.
I risultati suggeriscono che una singola mutazione genetica avvenuta 10 milioni anni fa ha dotato i nostri antenati pre-umani di una maggiore capacità di scindere l’etanolo.
Gli scienziati hanno notato che i tempi di questa mutazione coincidono con il passaggio ad uno stile di vita terrestre. La possibilità di scindere l’etanolo può aver aiutato gli antenati degli uomini a nutrirsi di frutta marcia caduta sul suolo della foresta, quando l’altro cibo era scarso. “Ho il sospetto che l’etanolo fosse un alimento di seconda scelta“, ha detto Carrigan.
Gli scienziati hanno dettagliato i loro risultati on-line Lunedi 01/12/2014 negli Atti della National Academy of Sciences.

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E’ stata scoperta, per caso, una nuova classe di polimeri

Quando la ricercatrice chimica Jeannette García ha trovato un pezzo di materiale bianco della grandezza di una caramella in una beuta che aveva usato poco, non aveva idea di quello che aveva creato. Il materiale era attaccato saldamente al vetro, tanto che ha dovuto utilizzare un martello per staccarlo. Ma quando ha usato il martello sul materiale stesso, non è riuscita a romperlo. “Quando mi sono resa conto di quanto alta fosse la sua tenacia, sapevo che avevo bisogno di capire cosa avevo creato“, dice la Garcia.

García, scienziata presso l’IBM Research-Almaden, chiese l’aiuto di diversi colleghi per risolvere il puzzle. Hanno così scoperto di aver trovato una nuova famiglia di polimeri termoindurenti, eccezionalmente forti, che possono essere utilizzati in prodotti che vanno dagli smartphone alle ali degli aerei. I materiali termoindurenti rappresentano circa un terzo dei polimeri globali prodotti ogni anno, ma sono difficili da riciclare. Il nuovo materiale scoperto dalla García, soprannominato Titan, è il primo termoindurente riciclabile, industriale mai scoperto.

A differenza dei termoindurenti convenzionali, che praticamente si rifiutano di essere riplasmati, il nuovo polimero può essere riciclato tramite una reazione chimica. García ed i suoi colleghi hanno riportato la loro scoperta sul numero di maggio di Science.

Per la domanda globale di materiali plastici di lunga durata, riciclabili, è previsto un aumento di richiesta a breve. Entro il 2015, per esempio, sia l’Europa che il Giappone richiederanno che il 95 per cento delle parti delle automobili prodotte siano riciclabili. “Questo è un perfetto esempio di come questo materiale potrebbe funzionare per questo“, dice la Garcia. Ma lei crede che il nuovo termoindurente potrebbe anche eventualmente essere usato in una gamma di rivestimenti anticorrosivi e antimicrobici, per la somministrazione mirata di farmaci, per adesivi, per le stampe 3-D, la depurazione delle acque, tra gli altri.

Titan è nato, inoltre, con un bonus. García ed i suoi colleghi hanno scoperto una seconda forma del materiale, auto-riparante, una sostanza gelatinosa che hanno chiamano Hydro, e che si genera a temperature più basse. “Se lo si taglia a metà e poi lo si rimette insieme, si forma istantaneamente un legame“, dice Garcia. Potrebbe essere usato come adesivo, nota, o come una vernice autorigenerante. Altri composti correlati potrebbero nascere in seguito. «Non è solo la scoperta di un nuovo polimero, ma la scoperta di una nuova reazione di formazione dei polimeri.“, dice García.

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Trovato un fossile di un antico parigino

Gli scienziati hanno portato alla luce rari, antichi, resti umani in sedimenti localizzati vicino alla Senna in Francia.

Le ossa del braccio sinistro risalgono a 200.000 anni fa circa, e sembrano essere di Neanderthal i ricercatori inoltre sostengono che senza il ritrovamento di altri fossili, è impossibile fare una descrizione completa del soggetto.
C’è poco materiale relativo al’epoca dei Neanderthal nel nord-ovest Europa.
Questi sono i più antichi fossili trovati nei pressi di Parigi, è il più antico abitante di Parigi mai ritrovato, se si vuole,” disse Bruno Maureille.
L’antropologo ed i suoi colleghi riportano la scoperta sulla rivistaPlos One.
Gli scienziati hanno fatto la loro scoperta a Tourvillela-Rivière, situata a circa 100 chilometri dalla capitale francese.

Non molto si può dire dell’individuo perché è rappresentato solamente da tre ossa lunghe del braccio l’omero, ulna e radio.
La loro robustezza sostiene l’interpretazione secondo la quale apparterrebero ad un uomo di Neanderthal, dice il team, e potrebbero essere di un giovane o di un giovane adulto.
Un particolare interessante è la presenza di un particolare in rilievo, o cresta, sull’osso superiore del braccio che può essere il risultato di un danno muscolare alla spalla.
Il team ipotizza nell’articolo che il soggetto potrebbe essere rimasto danneggiato lanciando ripetutamente qualcosa.
La cicatrizzazione è molto simile a quella che è stata documentata in lanciatori professionisti.
Abbiamo una particolare morfologia dell’omero dove abbiamo riscontrato la cresta, e questo è molto importante, ed è probabilmente legato ad un movimento specifico un movimento che è stato ripetuto in modo sistematico da questo individuo,” ha detto il Dott. Maureille alla BBC.
A destra di quel punto, si ha traccia di possibili microtraumi, che potrebbero essere connessi ad un movimento molto difficile, che ha creato questo strano rilievo.
Quale potesse essere stato questo movimento ripetitivo è un dibattito ancora aperto.
Se le prove per il forte sviluppo della regione deltoide sull’omero è stato correttamente interpretato, questo potrebbe fornire un indizio importante sul fatto che le lance con propulsore erano già in uso in Europa circa 200.000 anni fa, un fatto che molti esperti hanno messo in dubbio“, ha commentato Chris Stringer dal Museo di Storia naturale di Londra.
C’è stata finora l’opinione diffusa che gli uomini di Neanderthal e gli esseri umani più arcaici dipendessero dalle lance, utilizzate per la pericolosa caccia a distanza ravvicinata, e che solo l’uomo moderno abbia perfezionato il propulsore. Questo punto di vista ora potrebbe essere messo in discussione.
Una possibile spiegazione alternativa alla lesione risontrata potrebbe essere lo sfregamento ripetitivo delle pelli animali per ammorbidirle.

Uno studio sull’herpes conferma i flussi migratori umani.

Cosa può raccontarci l’herpes labiale sulla teoria della migrazione umana fuori dall’Africa? Più di quanto si possa immaginare. Cartina delle migrazioni
Mentre la teoria secondo la quale i primi uomini migrarono dall’Africa verso altri continenti è ampiamente accettata fra gli scienziati, le prove a sostegno sono limitate. Così un team di ricercatori dell’Università del Wisconsin ha cercato di confermarla analizzando la diffusione di un particolare ceppo del virus dell’herpes, lungo le presunte rotte di migrazione. Gli scienziati speravano che, studiando il virus herpes simplex 1 (HSV – 1) – il ceppo più comune che causa l’herpes labiale – avrebbero potuto trarre conclusioni importanti su come, in particolare, le popolazioni umane si sono disperse.
La teoria sostiene che la razza umana si sia originata in Africa tra 150.000 e 200.000 anni fa, disperdendosi poi lentamente verso l’Australia e il Medio Oriente e, alla fine, in tutto il mondo.
Quello che abbiamo trovato con la nostra ricerca segue esattamente quello che gli antropologi ci hanno detto; ed i genetisti molecolari, che hanno analizzato il genoma umano, ci hanno detto, come gli esseri umani si sono originati e come si sono diffusi su tutto il pianeta,” è quello che scrive in una dichiarazione il Dott. Curtis Brandt, professore di medicina, microbiologia e oftalmologia all’università e autore senior del nuovo studio.
Per il loro studio, Brandt e la sua squadra hanno messo a confronto 31 sequenze genomiche di HSV – 1. I ricercatori si sono concentrati su modelli di mutazione all’interno delle sequenze del genoma – derivato da dati raccolti in Nord America, Europa, Africa e Asia – al fine di isolare specifiche cladi, o rami, degli antenati e dei loro discendenti.
Durante la ricerca svolta su HSV – 1, Brandt e il suo team hanno notato che i ceppi della stessa natura del virus dell’herpes sono raggruppati in aree geografiche distinte. Ad esempio, i ceppi in Africa sono raggruppati insieme, mentre i virus che derivano dal lontano est dell’Asia, tra cui la Cina, la Corea e il Giappone, condividono alcuni elementi comuni.
Oltre a confermare quanto già noto, lo studio ha gettano nuova luce su aspetti specifici delle migrazioni umane. Sebbene i virus in Europa e in America siano stati raggruppati insieme, c’è stata un’eccezione: un ceppo nordamericano, in Texas, che condivide similitudini con ceppi derivati ​​dall’est asiatico.
Anche se l’eccezione potrebbe semplicemente essere il risultato dei viaggi moderni tra l’America e l’Asia, i ricercatori ipotizzano che possa supportare anche l’ipotesi che gli antenati dei nativi americani, abbiano in passato attraversato il “ponte di terra” che esisteva tra Asia e Nord America.
Abbiamo trovato supporto per l’ipotesi dell’attraversamento del ponte di terra in quanto il periodo cui corrisponde la più recente divergenza del ceppo asiatico risale a circa 15.000 anni fa“, ha asserito Brandt nella sua dichiarazione . “I dati si accordano, quindi abbiamo postulato che questo era un virus amerindo.”
I risultati confermano inoltre le conclusioni raggiunte dagli scienziati che hanno usato campioni di DNA per fornire la prova dei modelli migratori umani della teoria “della migrazione dall’Africa”.

E’ stata trovata per la prima volta una zanzara fossile piena di sangue.

I test dimostrano che una zanzara ritrovata nel Montana e morta 46 milioni di anni fa, contiene dentro di se’ il sangue di una antica creatura sconosciuta.
Nei 20 anni da quando il film “Jurassic Park” suggerì che i dinosauri potrebbero venire clonati da sangue trovato in antiche zanzare conservate nell’ambra, i collezionisti di fossili si sono messi alla caccia di un simile esemplare. Nel corso degli anni, diversi gruppi di scienziati hanno affermato di aver trovato una zanzara fossilizzata con antico sangue intrappolato nel suo addome, ma ognuna di queste “scoperte”, si è rivelata essere il risultato di un errore o di una contaminazione.
Oggi è stato annunciato che finalmente abbiamo un tale reperto: una zanzara piena di sangue preistorico, che è stata conservata in una roccia di scisto per circa 46 milioni di anni, è stata ritrovata in una località nel nord-ovest del Montana.
La cosa più sorprendente? La scoperta è stata fatto trent’anni fa da un paleontologo diletante, uno studente laureando in geologia di nome Kurt Constenius. Il reperto era conservato in un seminterrato, e la sua importanza è stato riconosciuta solo recentemente da un biochimico in pensione di nome Dale Greenwalt che era incaricato di raccogliere fossili negli Stati Uniti occidentali per conto dello Smithsonian Museum of Natural History.
L’esemplare, descritto in un articolo che Greenwalt ha pubblicato con il ricercatore ed entomologo Ralph Harbach, oggi agli Atti della National Academy of Sciences, è intrappolato nella pietra, non nell’ambra, e (purtroppo per gli appassionati di Jurassic Park) non è abbastanza vecchio per avere al suo interno sangue di dinosauro. Ma è la prima volta che si trova una zanzara fossilizzata con del sangue nel suo ventre.
Il fossile fu ritrovato durante i primi anni ’80, quando Constenius, che poi conseguì la laurea in geologia presso l’Università dell’Arizona, trovò centinaia di insetti fossilizzati durante i suoi fine settimana dedicati alla caccia ai fossili insieme ai suoi genitori alla Kishenehn Formation, nel nord-ovest del Montana, vicino al Glacier National Park. Negli anni successivi, la famiglia ha semplicemente lasciato i fossili deposti in scatole nella propria cantina a Whitefish, Montana, e in gran parte si sono dimenticati di loro.
Ad un certo punto entra in scena Greenwalt, che ha iniziato il suo volontariato presso il museo nel 2006, con la catalogazione di esemplari per il reparto di Paleobiologia. Nel 2008, ha intrapreso il suo progetto personale di raccolta di fossili del Kishenehn ogni estate, in parte perché aveva letto in un libro di testo sull’evoluzione degli insetti la menzione delle scoperte di Constenius, che non erano mai stata rigorosamente descritte nella letteratura scientifica.
Negli anni successivi, Greenwalt ha raccolto migliaia di esemplari di 14 diversi ordini di insetti. Il luogo di raccolta è remoto: doveva percorrere in gommone il fiume Flathead, che scorre lungo il confine del parco, fino ad arrivare in un luogo dove il fiume ha tagliato i diversi strati di roccia della Formazione Kishenehn, che comprende gli scisti che formavano il fondo di un lago durante dell’Eocene, circa 46 milioni di anni fa.
Si tratta di un fantastico sito dove trovare insetti fossili, senza dubbio uno dei migliori al mondo,” dice Greenwalt, notando che per una rara combinazione di circostanze, il depositarsi di strati sottili di sedimenti a grana fine e la mancanza di ossigeno ha portato ad un “impressionante grado di conservazione.” Lavorando in questo sito, ha fatto una serie significativa di ritrovamenti, raccogliendo campioni che hanno portato alla descrizione di due nuove specie di insetti.
Successivamente Greenwalt ha incontrato la famiglia Constenius a Whitefish e descritto loro il suo lavoro, ed essi hanno deciso di donare la loro collezione di fossili al museo. Quando Greenwalt ha iniziato  la catalogazione delle cassette di fossili si è imbattuto in questo particolare esemplare, “ho subito notato che era chiaramente diverso,” ci dice. Sospettava che il ventre scuro opaco della zanzara, intrappolata in un sottile pezzo di scisto, potesse contenere sangue vecchio di 46 milioni di anni.
Il personale del laboratorio di scienze minerarie del museo ha usato una serie di tecniche per analizzare il campione, tra cui la spettroscopia a raggi X. “La prima cosa che abbiamo scoperto è che l’addome della zanzara è pieno zeppo di ferro, che è quello che ci si aspetta se c’è del sangue“, dice Greenwalt. Inoltre, l’analisi con uno spettrometro di massa agli ioni secondari ha rivelato la presenza di eme, il composto che dà ai globuli rossi il loro colore distintivo e permette loro di trasportare l’ossigeno attraverso il corpo. Altri test hanno dimostrato l’assenza di questi composti nel resto del fossile.
I risultati servono come prova definitiva che il sangue è rimasto conservato dentro l’insetto. Ma a questo punto, gli scienziati non hanno alcun modo di sapere a quale creatura apparteneva il sangue che riempie l’addome della zanzara. Questo perché il DNA si degrada troppo rapidamente per sopravvivere 46 milioni di anni intrappolato nella pietra (o nell’ambra, se è per questo). Recenti ricerche avevano stimato per il DNA una emivita circa 521 anni, anche in condizioni ideali.
Questo significa che, anche se riuscissimo ad estrarre miracolosamente il DNA di questa creatura antica, in questo momento ci sono un sacco di problemi tecnici che impediscono di clonarla come è accaduto nel film Jurassic Park. Assemblare un genoma completo da frammenti di DNA ci impone di avere una comprensione di come fosse il genoma integro (che in questo caso non abbiamo); e trasformare tutto questo in un animale vivo che respira necessiterebbe di porre questo materiale genetico in un ovulo di una specie strettamente imparentata alla creatura misteriosa, la cui razza ci è ignota.
Così, purtroppo, per il momento nessuna antica creatura potrà risorgere e vagare libera grazie a questa nuova scoperta. Eppure, la scoperta è scientificamente significativa, perchè sta’ aiutando gli scienziati a capire meglio l’evoluzione degli insetti che si nutrono di sangue. In precedenza, la cosa più vicina ad una zanzara piena di sangue che gli scienziati avevano trovato era una zanzara con resti del parassita della malaria all’interno del suo addome. Anche se questo fornisce una prova indiretta che le zanzare si nutrivano di sangue 15-20 milioni di anni fa, questa nuova scoperta rappresenta la più antica testimonianza diretta di un animale che si nutre succhiando il sangue. Inoltre mostra per la prima volta che le molecole biologiche come l’eme possono sopravvivere come parte di un reperto fossile.

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Il cetriolo di mare che mangia con l’ano

La maggior parte dei bambini della scuola materna vi possono dire che un animale mangia con la bocca e non con il sedere.

Una specie di cetrioli di mare, però, non sembra avere ricevuto il promemoria: gli scienziati hanno scoperto che il Cetriolo di mare gigante della California (Parastichopus californicus) in realtà usa il suo ano come una seconda bocca.

Gli scienziati sapevano già che l’invertebrato marino, che vive nelle acque oceaniche profonde al largo della costa pacifica del Nord America, respira anche con il sedere.

Poiché non hanno polmoni, i cetrioli di mare possono contare sugli alberi respiratori, una serie di lunghi tubi che scende ai lati del corpo, con un sacco di ramificazioni diverse. Quello di P. californicus ha la forma di un tubo cavo, con la bocca ad una estremità ed l’ano all’altra.

Gli alberi respiratori ricevono ossigeno quando l’acqua viene pompata attraverso l’ano utilizzando i muscoli della cloaca, un’apertura che si trova al termine del tratto intestinale. (Guardate il video di un cetriolo di mare che combatte con le budella, letteralmente.)

L’animale, di 50 centimetri di lunghezza se la cava bene: può pompare da 3,5 a 4 tazze di acqua all’ora attraverso il suo ano, trasferendo così l’ossigeno dall’acqua nei suoi alberi respiratori, che poi ossigenano le sue cellule.
L’enorme quantità di acqua che scorre nel suo ano ha portato due biologi degli invertebrati a pensarese che dato che P. californicus setaccia il plancton e altre piccole particelle dall’acqua con i suoi tentacoli, potrebbe fare qualcosa di simile con il suo ano?

Anche se “un animale non dovrebbe ingerire cibo attraverso il suo ano“, come William Jaeckle e Richard Strathmann notano all’inizio del loro studio, nel numero di marzo di  Invertebrate Biology, si scopre che la risposta è sì.

Ano multiuso.

Il loro primo indizio che l’ano del cetriolo di mare stava svolgendo una tripla funzione proveniva da una struttura chiamata rete mirabile, un insieme di vasi sanguigni che collegano gli alberi respiratori del cetriolo del mare con il suo intestino.

Inizialmente, Jaeckle, della Illinois Wesleyan University, e Strathmann, dell’Università di Washington, hanno pensato che la rete mirabile fosse utilizzata per trasferire l’ossigeno dagli alberi respiratori all’intestino. Ma se P. californicus ottenesse alimenti tramite il suo ano, sarebbe probabilmente che utilizzi la rete mirabile per trasferire il cibo verso l’intestino.

Per testare la loro idea, il team ha nutrito parecchi cetrioli di mare con alghe leggermente radioattive, che contenevano anche particelle di ferro. Il ferro e la radioattività si sono dimostrati un modo semplice per rintracciare il cibo mentre viaggiava attraverso il corpo del cetriolo di mare. Per esempio, le zone del corpo con la più alta concentrazione di radioattività avrebbero fornito indizi su quali orifizi l’animale stava usando per mangiare.

Non a caso, i risultati hanno dimostrato che i cetrioli di mare mangiato le alghe, che poi viaggiano attraverso il loro intestino, attraverso le loro bocche reali.

Tuttavia, i ricercatori hanno anche trovato un alto livello di radioattività quando guardavano la rete mirabile. L’unico motivo per cui quei vasi sanguigni potrebbero avere avuto una così alta concentrazione di radioattività è perchè l’animale stava trasferendo cibo dagli alberi respiratori all’intestino attraverso la rete mirabile.

Creature che si cibano dal retro.

Quando gli scienziati hanno esaminato campioni di tessuto dal cetriolo di mare al microscopio, hanno trovato molti indizi che P. californicus stava usando il suo ano come una seconda bocca: hanno trovato piccoli pezzi di alghe e di ferro tra gli alberi respiratori vicino all’ano.

Inoltre, gli alberi respiratori del cetriolo del mare avevano piccole sporgenze simili a dita note come microvilli che si trovano normalmente nell’intestino ed aiutano nell’assorbimento dei nutrienti. Questo ha anche indicato che P. californicus stava assorbendo cibo utilizzando il suo ano e gli alberi respiratori.

Gli autori concludono che, sebbene abbiano le prove di un’alimentazione bipolare – il termine più formale e cortese per descrivere l’abitudine di magiare con il sedere – in una specie di cetrioli di mare, molte altre specie sembrano suscettibili di utilizzare questo metodo di alimentazione.

La conclusione? Mangiare con il sedere può non essere poi così insolito.

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